Descrizione
Il territorio in cui si estende il comune di San Marco dei Cavoti è stato abitato fin dai tempi più remoti, e di questo i ricordi più sicuri si riferiscono alla città di Cenna e al castello di San Severo.
Il Niebhur, non avendo trovata segnata questa città di Cenna nelle antiche carte geografiche d’Italia, credette che non fosse mai esistita. Ma altri scrittori e storici come Cluver, Ughelli, Boragine,Falcone Beneventano, Evelyn Jamison, Di Meo, Capasso, Alfredo Zazo e i Registri della Cancelleria Angioina, ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani (vol. II, 1265-1281, Napoli 1951, Registro VIII, n. 527, pp. 136-137), l’ammettono senz’altro affermando che si trattava di una città sannita, che si trovava in territorio irpino-sannita e precisamente nel territorio di San Marco dei Cavoti e sia stata abitata al tempo dei Romani. Ma essa ebbe fine in tempi lontani e il territorio rimase disabitato. Perciò il ciclo di questa città si chiuse completamente nel periodo romano-sannitico anche perché alcuni abitanti della città si rifugiarono sul vicino colle, dove in seguito si sviluppò il nuovo abitato di S. Severo.
Così il nuovo centro, sorto nel territorio di San Marco, fu S. Severo. L’origine di questo castello è del tutto ignota, anche se sul sito vi sono notizie circostanziate, che lasciano tuttavia larghe zone di ombre. La designazione ci porta all’alto Medioevo. I primi sicuri accenni a questo castello li troviamo nel Chronicon Beneventani Monasterii S. Sophiae, in un diploma del luglio 1114, datato appunto da S. Severo.
Il nome di S. Severo ricorre con una certa frequenza nell’Obituarium S. Spiritus della biblioteca Capitolare di Benevento (secc. XII-XIV). Esso nella sua piena vitalità aveva le seguenti chiese: S. Pietro, S. Nicola, S. Barbara e S. Maria, S. Severo.
Il paese fu distrutto per il terremoto del 9 settembre 1349, ma l’ultimo colpo lo ebbe con la spedizione di Luigi il Grande, re d’Ungheria nel 1352.
Rimasto spopolato e distrutto San Severo, il feudatario Luigi di Shabran, che aveva tutto l’interesse a vedere ripopolata la zona, bandì l’invito, naturalmente con larghe promesse di libertà e franchigie, ad accorrere per farsi suoi vassalli. Un folto gruppo di Provenzali diede ascolto alla sua parola.
La prima volta che compare il nome di San Marco è nella Platea antiqua di S. Sofia del 1382. Tre anni dopo, nel 1385, abbiamo le Capitolazioni.
Si consideri infatti che “dei Cavoti” corrisponde all’originale “de Gavotis”, e Gavots erano gli abitanti delle montagne di Gap in Provenza. Quindi “dei Cavoti” è equivalente a “provenienti della città di Gap”, e cioè Provenzali.
Il castello continuò ad essere posseduto dalla famiglia dei Shabran fino ad Ermingano, quando ne fu privato dalla regina Giovanna II, che poi, nel 1417 lo donò a Francesco Sforza d’Attendolo. Seguirono altri feudatari, finché non si stabilirono i Cavaniglia dal 1528 in poi.
Si trattava di una famiglia feudataria molto ricca. Basti pensare che per il solo bilancio del 1792, il feudo di San Marco aveva un introito lordo di 10.253 ducati.
Nel 1792, l’ultimo discendente, Carlo Onero Cavaniglia juniore, morì senza lasciare eredi diretti. Figlio di Troiano, duca di S. Giovanni Rotondo, era signore della città di Rodi, di S. Severo, di Candelaro, di Badolato.
L’Università (oggi Comune) sostenne diverse vertenze. Per lungo tempo fu in lite col comune di Molinara a causa dei territori boscosi posti ai confini dei due paesi.
L’elemento religioso ha accompagnato indissolubilmente il cammino di San Marco dei Cavoti.
Riguardo agli edifici sacri, viene innanzi tutto la Chiesa arcipretale, che era stata eretta nella parte più antica del paese, nel luogo li Pontili.
La devozione dei cittadini si volgeva specialmente, dopo il santo patrono, San Marco, alla Madonna del Carmine col Monte dei Morti, alla Cappella dei Cinque Santi, alla Cappella del Corpo di Cristo, a quella del Rosario e dal 1762 a San Diodoro martire.
La Chiesa Madre o arcipretale è stata rifatta in forme moderne dopo la demolizione per il terremoto del 1962, ma è andato smembrato e disperso tutto il patrimonio artistico interno ed esterno.
Altra chiesa degna di nota è quella della Madonna del Carmine. L’interno, ad una sola navata, ha notevoli altari policromi, un coro ligneo, con buoni intagli nei confessionali e nel pulpito. Fuori del borgo antico è la cappella di San Rocco. Nella contrada Toppo di Santa Barbara sono venute alla luce mura megalitiche di età sannitica, risalenti al IV secolo a.C.. Infine merita di essere ricordato il convento di Santa Maria delle Grazie dei Padri Domenicani riformati “…perito, ahimé, per l’incuria della classe dirigente, clero e ceto civile e la prostrazione morale del popolo”.
Riguardo all’istruzione San Marco si tiene in linea con gli altri paesi del Fortore. Se vi era la possibilità di una certa istruzione per i ragazzi, invece per le ragazze gli amministratori del Comune, per lo più analfabeti essi stessi, non vedevano nessuna utilità, cosa che invece cominciavano a vedere le famiglie.
Ma tutti si sentirono toccati, positivamente o negativamente, dal brigantaggio politico degli anni 1861/1863.
In questo difficile triennio e fino al 1863 si registrarono parecchi episodi di aggressioni e di feroce banditismo nelle campagne del paese, sulle quali imperversava specialmente la banda del sammarchese Diodoro Ricciardelli.
Intanto nel 1872, a qualificare i nuovi tempi, fu compilato ed introdotto a norma di legge, il Regolamento di Polizia urbana, rurale ed edilizia, che disciplinava i rapporti pubblici e privati dei cittadini con la collettività (Cfr. anche – Regesta delle pergamene – di G. Moncelli, archivista di Montevergine, Ministero degli Interni, 1956; – S. Marco dei Cavoti dall’antica S. Severo beneventana alla scomparsa del feudo – del Centro Culturale Sannita, BN, 1984 e – Dalle Alpi Alte ai Colli sammarchesi – BN, 2006, di A. Fuschetto).
I primi sicuri dati relativi alla popolazione di S. Marco risalgono ad un documento del 1444, dal quale risultano 131 fuochi. Nel 1532 San Marco contava già 250 fuochi, equivalenti a circa 1.250 abitanti. Il periodo seguente non fu favorevole a un incremento decisivo della popolazione di modo che si giunse al 1669 con 205 fuochi (1025 abitanti). Solo da allora in poi il diagramma segnò quella ripresa che, un po’ alla volta, portò nel 1840 a 4.762 abitanti, nel 1861 a 4.657, che divenivano 5.981 nel 1931. Era la punta massima, perché, dopo di allora, cominciò quella flessione, che ha portato a segnare nel 2011 3.596 abitanti ed oggi, 2014, i presenti sono 3459.
Così ai tempi nuovi si sono portate iniziative nuove per il rifiorire perenne della vita.
A cura di Angelo Fuschetto